Caratteristico paese di circa 1700 abitanti alle porte di Campobasso, Oratino dall’alto dei suoi quasi 800 metri di altitudine domina per un lungo tratto la media valle del fiume Biferno. Dal colle dove sorge il centro abitato si apre un panorama spettacolare, sicuramente tra i più suggestivi dell’intera regione molisana; da questa altura è possibile scorgere a occhio nudo numerosi paesi collocati nell’alto Molise e nell’Abruzzo meridionale. Il territorio comunale di Oratino ha una storia millenaria. Le più antiche attestazioni della presenza dell’uomo risalgono all’età preistorica e sono rappresentate da un insediamento individuato in località La Rocca. In quest’area, posta sulla sponda destra del fiume Biferno, a breve distanza dal tratturo Castel di Sangro - Lucera, si trova una formazione rocciosa di notevoli dimensioni, contraddistinta dalla presenza di una imponente torre medievale, collocata sulla sua sommità. Sia sul masso roccioso che alle sue pendici sono presenti i resti di strutture e altre interessanti evidenze antropiche riconducibili a varie epoche. Il sito, dal 2005, è oggetto di indagini archeologiche dirette dalla Cattedra di Paletnologia dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Gli scavi, condotti alle pendici meridionali del roccione, hanno consentito di riconoscere una prima frequentazione del luogo riconducibile all’età del Bronzo Medio, come comprovato dal ritrovamento di ceramica appenninica decorata, databile tra la seconda metà del XIV sec. a.C. e gli inizi del XIII sec. a.C. È inoltre documentato un deposito dell’età del Bronzo Recente, ascrivibile indicativamente alla prima metà del XII sec. a.C., che ha restituito una ingente quantità di reperti ceramici e faunistici e anche manufatti litici. Presso questo luogo si è poi sviluppato un insediamento di epoca preromana, caratterizzato dalla presenza di mura megalitiche databili tra il IV e il III sec. a.C., e successivamente un nucleo abitato collocabile nel corso dell’epoca medievale. Oltre a questo importante sito, il territorio oratinese ha restituito altre interessanti indizi della storia passata; infatti, fino ad ora sono state individuate numerose aree archeologiche. Per quel che riguarda l’epoca sannitica, sono noti almeno tre siti adibiti a sepoltura, documentati in località Fonte Nuova, da una tomba che ha restituito materiali ascrivibili al VI sec. a.C., in località Pozzo Nuovo, da reperti databili tra la fine del VI e la prima metà del V sec. a.C. (tra i quali vanno ricordati un cinturone e una corazza in bronzo del tipo a tre dischi) e, nel centro storico del paese, da una sepoltura femminile con corredo (una coppa e monili in bronzo) riconducibile alla prima metà del V sec. a.C. Di particolare rilievo sono le testimonianze archeologiche relative all’epoca romana, talora di straordinaria importanza. Tra queste, oltre ad alcune pregevoli sculture in pietra, va ricordato un cippo gromatico in calcare, recante un’epigrafe latina. Questo eccezionale documento storico, databile nel corso del I sec a.C., costituisce un’esplicita e rara testimonianza della centuriazione romana in questo comprensorio. Anche le attestazioni relative all’epoca medievale sollevano motivo di sicuro interesse; al momento queste sono rappresentate sia dall’abitato collocato in località La Rocca, sopra menzionato, che da altre evidenze riportate alla luce in varie zone del territorio e sulla collina dove sorge il borgo di Oratino.
COSA VEDERE:
Le origini del Palazzo Ducale risalenti probabilmente al XIV secolo e la sua iniziale massiccia fattezza a pianta quadrangolare con cortile interno scoperto, fanno pensare senza dubbio ad un castello fortificato. Cristoforo Gaetani (assassinato nell’assedio di Napoli il 18.10.1439) 5° Conte di Fondi, Signore di Piedimonte, 1° Conte di Morcone, Patrizio Napoletano, Viceré di Campagna e Molise il 6.8.1406, Governatore di Roma dal 1419 al 1420, Gran Protonotario e Logoteta del Regno di Sicilia, Sindaco di Napoli, vende la Rocca d’Introboni ed il castello di Loratino nel 1406 a Giovanni di Cantagallo. In epoca successiva furono edificati due possenti torrioni laterali sul prospetto sud, mentre la trasformazione più importante fu ad opera del duca Gennaro Girolamo Giordano che dal 1714 al 1725 ne attenuò il carattere di fortezza, trasformandolo in residenza gentilizia, realizzando un imponente loggiato aperto al primo piano (di circa m.20 x m.7) con soffitto tavolato dipinto dal pittore Ciriaco Brunetti ed il pregiato portale d’ingresso in pietra con foglie d’acanto, oltre al porticato nel cortile interno. I finestroni a chiusura del loggiato furono realizzati alla fine dell’ottocento dai germani Carlo ed Antonio Magno signori di Toro che si aggiudicarono all’asta nel 1879 il palazzo ducale. Nel dopoguerra e precisamente nel 1947 Mercurio Magno, figlio di Antonio, decise di privarsi del palazzo e dopo il tentativo fallito di cederlo (a metà prezzo) attraverso il Delegato al Comune di Oratino (all’epoca frazione di Campobasso), lo vendette ad alcuni cittadini del posto. (famiglia D’Anolfo, Pallante, Tarasco).
La Chiesa di S. Maria Assunta è ubicata nel cuore del centro storico di Oratino. Non si ha memoria della sua fondazione che deve certamente risalire ad epoca antichissima presumibilmente coincidente con la nascita stessa del borgo medievale. Il primo documento conosciuto che ne riporta la presenza è l’inventario del 1251 dei beni di valori presenti nelle chiese delle Diocesi di Venafro, Isernia, Bojano, Guardialfiera e Trivento redatto da Giovanni Capuano del Tesoro nel quale viene denominata “Ecclesia Santae Mariae Castri Lorateni”. Attualmente la Chiesa consta di tre navate con corpi laterali asimmetrici aggiunti in epoca più recente. L’impostazione architettonica è tipica del periodo romanico, anche se nei secoli successivi ha subito profonde trasformazioni, soprattutto a causa del terremoto del 1456. Conserva in sé molteplici aspetti formali di tale epoca, che sono stati maggiormente evidenziati dai lavori che la Soprintendenza Architettonica ha effettuato nel 1989, durante i quali fu rinvenuto l’affresco con l’Assunzione della Vergine sulla volta centrale realizzato da Ciriaco Brunetti nel 1791 e la cripta, utilizzata nel corso dei secoli come luogo di sepoltura. La chiesa conserva un busto di San Francesco in estasi, riconducibile allo scultore Giacomo Colombo, la statua di San Gennaro, protettore di Oratino (opera di Silverio Giovannitti), mentre quella di San Bonifacio Martire, patrono, fu realizzata da Crescenzo Ranallo (Oratino, 1816 – 1892). Inoltre si conserva un pregevole ostensorio in argento, datato 1838, eseguito dagli argentieri napoletani su disegno dell’artista Isaia Salati (Oratino, 1787 – Napoli, 1864).
La Chiesa di Santa Maria di Loreto è un edificio di culto, situato extra moenia (fuori dalle mura). Durante i lavori di restauro, eseguiti sul monumento dalla Soprintendenza di Campobasso, ha restituito le tracce di una piccola chiesa medioevale. Di questa tipica chiesetta di campagna sono stati ritrovati l’impostazione dell’altare centrale e tracce dell’originaria pavimentazione in cotto. Successivamente la chiesa divenne a tre navate con pianta quasi quadrata (lunga palmi napoletani 47 e 1/3 e larga 49 e 1/3), con soffitto ligneo a cassettoni e gradino centrale per accedere al presbiterio. Vi erano tre altari, quello centrale intitolato alla Madonna del Loreto, quello sinistro dedicato a S. Rocco e quello destro a S. Sebastiano. Nel 1716 fu realizzata l’attuale facciata mentre nel 1718 furono create le volte sulle navate interne. Tra il 1728 ed il 1757 la chiesa fu notevolmente ampliata nella lunghezza (in pratica tutto l’attuale presbiterio). Nel 1757 i fratelli Ciriaco e Stanilslao Brunetti ultimarono gli affreschi nella volta della navata centrale mentre i lavori delle volte laterali furono completati nel 1790. La chiesa di Santa Maria di Loreto è nota inoltre anche per essere il luogo di sepoltura della famiglia feudale dei Giordano i quali commissionarono, per abbellire la stessa, il ciclo di decorazioni delle volte. Sono esposte alcune sculture lignee, tra le quali la Madonna del Rosario, 1715 ca., opera collocabile alla fase iniziale della carriera di Carmine Latessa, il Sant’Antonio Abate di Nicola Giovannitti, (Oratino, ? – 1738) datato 1727 e la Madonna del Carmine di Crescenzo Ranallo, eseguita nel 1854.
UNA TERRA DI MAESTRI
Oratino rappresenta un vero e proprio “caso” nella geografia culturale molisana. In questi ultimi anni la ricerca storico-artistica ha ricostruito un mosaico complesso ed articolato di personalità, anche di un certo spessore artistico, che dalla fine del Cinquecento ai nostri giorni testimoniano una spiccata vocazione degli abitanti del piccolo borgo verso attività legate alla creatività, all’ingegno e alla fantasia. Giuseppe Maria Galanti, che fu uno degli esponenti più qualificati dell’illuminismo meridionale, nella Descrizione dello stato antico ed attuale del Contado di Molise (Napoli, 1781) scrive che a Oratino (Loretinum): “ Si coltivano molte arti di gusto” e più avanti, nel capitolo III, relativo allo Stato delle arti e delle Scienze: “Nell’Oratino si osserva qualche doratore e pittore e ciò è stato opera del genio di un suo barone… questi vi ha promosso le arti meccaniche e la buona agricoltura. Ivi si ammira ciò che può l’arte…” Fiorenti botteghe di pittori, scultori, maestri nell’arte della doratura e nell’arte dell’intaglio della pietra, artigiani del legno e del vetro, erano attive e riecheggiavano nelle strette strade del borgo, producendo opere che non solo hanno impreziosito case patrizie e chiese sparse su tutto il territorio regionale, ma hanno arricchito anche le chiese della Capitanata e di altri centri della Campania beneventana e dell’Abruzzo. Nessun’altro centro del Molise può vantare una simile schiera di professionisti nelle arti applicate, dove i nomi di maestri ancora poco caratterizzati, si affiancano a personalità ormai definite nel loro itinerario stilistico e nella produzione figurativa. Maestri vissuti ai margini del regno meridionale che con le loro opere hanno contribuito a dare una risposta a chi ha sempre pensato che in Molise non esistesse un’arte molisana. È difficile individuare le cause che hanno concorso a concentrare nei secoli le attività sopraindicate. Intanto un elemento interessante è rappresentato dalla posizione geografica di Oratino con vaste zone del territorio, soprattutto quelle a nord-ovest, particolarmente rocciose e scoscese, tali comunque da scoraggiare le attività legate all’agricoltura. La circostanza non è sfuggita a Francesco Longano, che a dorso di un cavallo visitò tutti i centri della regione per la stesura del Viaggio per lo Contado di Molise (Napoli, 1788) il quale scrive: “L’Oratino… ha poco terreno mediocre, il resto cattivo... Ha ogni classe di artigiani stesissima”. Grazie al loro mecenatismo hanno contribuito al fermento creativo due esponenti della famiglia Giordano. Si tratta del duca Gennaro Girolamo Giordano morto nel 1733 e del nipote Giuseppe Giordano, conosciuto fra gli Arcadi con il nome di Orniteo Temidio, che detiene il feudo di Oratino fino alla sua morte avvenuta nel 1813. Figure di raffinata cultura e sensibilità, che hanno protetto e promosso le arti, a differenza di altri feudatari che hanno oppresso le popolazioni. Fra gli artisti più rappresentativi delle botteghe oratinesi troviamo il pittore Benedetto Brunetti (Oratino, ?- 1698), fautore di una pittura devota, ancora intrisa di riecheggiamenti della tarda maniera meridionale con aperture successive nei confronti delle più moderne ricerche linguistiche napoletane legate al barocco. Niccolò Falocco (Oratino, 1691- 1773) documentato da Bernardo De Dominici nelle Vite dè pittori, scultori e architetti napoletani (Napoli, 1742-1745), come discepolo e assistente di Francesco Solimena, uno degli artisti più rappresentativi della cultura tardo-barocca in Italia. Ciriaco Brunetti (Oratino, 1723-1802), nipote di Falocco e proprio grazie a lui ha la possibilità di frequentare e acquisire una più serrata connessione con gli ambienti artistici della capitale del regno, proponendosi da un lato, nella produzione di carattere religioso come fedele interprete dei modelli del Solimena, e dall’altro come decoratore estroso ed inventore di felicissime soluzioni progettuali nel campo dell’ornamentazione architettonica. Molti disegni dell’importante Collezione Giuliani, di proprietà dal 1991 del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, appartengono proprio a questo artista multiforme, dotato di un’inesauribile vena decorativa di gusto rococò. Nicola Giuliani (Oratino, 1875-Napoli, 1938), che inizia la sua formazione sotto la guida del padre Giacomo, un abile decoratore, per frequentare successivamente l’Accademia di Belle Arti di Napoli dove avrà come insegnanti Domenico Morelli e Filippo Palizzi. Fra gli scultori più significativi va ricordato Carmine Latessa (Oratino, ?-1719). La sua formazione è documentata con l’apprendistato durato dieci anni, presso Giacomo Colombo, il maggiore scultore del tempo a Napoli, uno degli artisti più rappresentativi del barocco meridionale, e nonostante una morte precoce, giunta intorno ai venticinque anni, il giovane oratinese si impone come uno dei maggiori scultori del Settecento molisano. Un altro scultore appartenente ad una famiglia di artigiani dell’intaglio ligneo è Silverio Giovannitti (Oratino, 1724-1788), che guarda a Giacomo Colombo come punto di riferimento, una guida che segue nel corso di una lunga e prolifica carriera, della quale sono testimonianze tante opere conservate nelle chiese del Molise e delle regioni limitrofe. A questo gruppo di artisti figurativi vanno aggiunti due poeti: Giovan Pietro Massari (Oratino, ?-Napoli, 1656) accademico Partendo e Incauto, professore della Sacra Teologia, dottore delle Leggi e Protonotario della Santa Sede Apostolica, autore di diverse composizioni dal tono sentenzioso, infatti, le liriche risentono a tratti di una tradizione meridionale epigrammatica, ma le accensioni metaforiche, gli accenti patetici, così come la forte musicalità delle rime, sono temperati da una matrice stoica; il secondo è l’abate Giorgio Gizzarone (Oratino, ?-1712) maestro di sacra teologia e dottore in entrambe le leggi, in utroque iure, che tradotto letteralmente significa: nell’uno e nell’altro diritto, quindi laureato in diritto civile e canonico. Procustode delle Campagne del Sannio nell’Accademia dell’Arcadia, conosciuto con il nome di Oratino Boreatico, fondatore a Roma nel 1694 dell’Accademia dei Pellegrini, fu affiliato anche agli Spensierati di Rossano Calabro e agli Infecondi, antica Accademia letteraria sorta nella città eterna.
TRADIZIONI
La “Faglia” (24 dicembre) è un grosso cero fatto di canne lungo circa 13 metri per poco più di un metro di diametro che la vigilia di Natale viene trasportato a spalla dagli oratinesi dall’ingresso del paese fino al sagrato della Chiesa, dove viene issato ed acceso. É questo il momento più suggestivo: l’enorme torcia sembra gareggiare con le dimensioni del campanile cui di fronte è posta. Tradizione fortemente carica di simbolismi, di origini pagane come rituale della fecondità, ha assunto nel tempo un marcato aspetto religioso e serve per fare luce a Gesù Bambino quando scende dal cielo per Natale. Il primo atto nella realizzazione della faglia è la ricerca della materia prima, cioè le canne, che è affidata alle nuove leve maschili del borgo che, in origine, venivano nottetempo asportate a valle sulla riva del fiume o abilmente sottratte presso poderi privati. Questo materiale viene depositato in un punto convenuto (una volta conosciuto da pochi). Sempre di notte si provvede alla costruzione dell’enorme cero, che richiede specifiche abilità artigianali, sia per la battitura sia per il confezionamento. Per insaccare in maniera compatta l’enorme cilindro si ricorre ad un attrezzo di legno chiamato “partiell” (forse pestello) con cui si costipano le canne. La rigidità viene assicurata tramite l’assemblaggio con robusti cerchi di ornello opportunamente legati. Dopo il completamento, la Faglia viene trasportata a spalla da circa cinquanta persone, che a coppie reggono un sottoposto asse in legno orizzontale di sostegno. Il corteo è preceduto da uno sparuto gruppo di musicanti che con una marcetta popolare tenta di lenire le fatiche dei portatori. Molto rilevante è pure la presenza del Capofaglia che, in piedi sulla faglia, la guida nella sua ascensione in cima al paese e, con un vero delirio verbale, prende in giro le vittime dei furti di canne. L’innalzamento è la fase centrale, la più duratura e la più delicata, in quanto occorre far passare il manufatto di canne dalla posizione di riposo a quella verticale, cioè attiva e più propriamente rituale, preliminare all’accensione, fomentatrice di stupore e commenti salaci (rigidità, verticalità, lunghezza, efficacia estetica del fallo). Era una manovra particolarmente pericolosa in quanto la faglia veniva eretta soltanto con l’ausilio di scale lignee e funi di canapa oltre ad una buona dose di perizia umana; solo da qualche anno si usa un argano munito di cavo di acciaio che rende l’operazione tecnicamente senza rischi, né per la struttura né per gli astanti. L’accensione è l’atto finale: la Faglia viene accesa dal piano della cella campanaria con l’ausilio di un panno imbevuto di liquido infiammabile. Segue la benedizione da parte del parroco. Il cero arderà lentamente per tutta la notte, lasciando al mattino pochi residui che, a scopo apotropaico, venivano raccolti e conservati. All’interno della manifestazione, inoltre, si celano una serie di simboli:
- oggetto verticale: la faglia richiama il simbolismo della fecondità ed è connessa all’idea che quanto più sarà grossa e lunga, tanto più abbondante sarà il raccolto ed anche tanto più virili saranno quelli che l’hanno realizzata. Richiama inoltre il simbolismo della verticalità e dell’albero. Il simbolo dell’albero è molto antico ed esprime la perpetua rigenerazione della vita nel suo senso dinamico: è carico di forze sacre, fiorisce, perde e ritrova le foglie, si rigenera; muore e rinasce innumerevoli volte. É il simbolo universale e fonte di vita a tutti i livelli.
- canne: non è casuale la scelta della materia prima: la faglia poteva essere costruita anche con materiale diverso. Le canne sono state preferite, nonostante la non facile reperibilità ad Oratino, proprio perché devono essere cercate nei posti più disparati o addirittura rubate nelle notti lunari strappandole verdi che sono simbolo di purificazione, fertilità e abbondanza.
- sole e fuoco: la tradizione della faglia è anche un rito solare di ascendenza celtica, collegato al solstizio d’inverno, allorché si situa l’inizio del nuovo anno astronomico. Simbolicamente si festeggia Cristo nuova vita ascendente, che assomma in sé anche l’allegoria del fuoco. Come il sole con i suoi raggi, così il fuoco con le fiamme è il simbolo della luce celeste, dell’azione illuminatrice, purificatrice e fecondante.
- rito di iniziazione: la sopravvivenza della comunità è assicurata dalle nuove generazioni maschili, che, prima di giungere alla stadio della virilità, devono dare dimostrazione di comportamenti coraggiosi per realizzare l’ingresso completo nella comunità.