STORIA

I primi insediamenti risalgono al periodo protostorico, come testimoniato da alcuni reperti archeologici rinvenuti: un’urna cineraria, una moneta bronzea dell’VIII sec. a. C. e una moneta argentea della campagna di Pirro. Ai tempi dei Sanniti era posta a confine tra le tribù dei Frentani e dei Pentri. Più ricca è la testimonianza del periodo romano, come si evince dalla presenza delle due ville rustiche riportate alla luce all’inizio del secolo scorso in contrada San Fabiano e l’altra, di considerevole estensione, in località Canneto. Intorno al 450 d.C. per la comunità cristiana della vallata fu costruita una chiesa dedicata a Maria Vergine Madre di Dio. Questa prima chiesa dimostra che nella vallata doveva esservi un considerevole nucleo cristiano. Questo Tempio e la devozione Mariana scandirono la vita della christianitas nella Vallata sul Trigno e dei secc. V-VII abbiamo una singolare testimonianza: l’“Ultima Cena”, un bassorilievo ora conservato come paliotto del'alta maggiore nella chiesa attuale. Nell’VIII secolo, i monaci dell’Abbazia di San Vincenzo al Volturno ricostruirono una chiesa con annesso un monastero sempre in agro di Canneto, la quale passò successivamente sotto la giurisdizione dell’abbazia di Montecassino; successivamente nei secc. XI –XIII con i monaci Cassinensi fioriva un monastero benedettino che godeva dei privilegi e dei diritti di una abbazia canonicamente costituita, tanto da avere un feudo di una certa entità. L’attuale chiesa, in stile romanico, è di epoca non superiore al 1100 e fu fatta costruire dall’abate Rainaldo. Lo si legge in caratteri onciali sulla base della lunetta del portale (“Abbas Rainaldo 1042 o 1049”). Nel 1015 i normanni sbarcarono a Bari per sostenere la rivolta del longobardo Melo contro i bizantini. Si formarono potenti feudi e contee e, in Molise, ebbe il sopravvento prima la famiglia dei Borrelli, che subito dopo lasciò il posto ad Ugo de Moulins che dette il nome alla regione stessa. Il primo atto di forza dei normanni contro i feudatari fu la compitazione del Catalogus Baronum destinato alle indicazioni necessarie per la riscossione delle tasse. Le notizie riguardano gli anni tra il 1150 e il 1165. Al numero 774 si legge: “Elia de Molisio ha ricevuto da Hugone Rocca Bannarii che è un feudo di 2 soldati”. Si può postulare, dunque, che così come gli altri comuni limitrofi, Roccavivara prenda il nome dal suo primo feudatario, tale Bannario. Proprio sull’origine del nome, diverse e controverse sembrano essere le cause: Rocca Bonnarii, forse derivante dal nome del primo feudatario Bonnario; Rocca di Vivara, dal nome della contrada situata nei pressi del borgo; Roccavivarium, dal termine vivarium corrispondente a magazzino o riserva di caccia. Nel 1497 il re Ferdinando II di Aragona cedette il feudo a Consalvo de Cordova per compensarlo dei suoi servigi. Nel 1566 Giovan Francesco Di Sangro vendette la terra di Roccavivara con tutto il suo stato a Rainaldo di Carafa, allora marchese di Montenero di Bisaccia, per 6000 ducati. Nel 1592 a causa di gravi debiti Rainaldo Carafa fu però costretto a cedere il feudo di Roccavivara al figlio Geronimo, per essere messo all'asta poco dopo ed acquistato da Giovanni Gallo. Il 1600 fu un secolo funesto per la popolazione di Roccavivara, così come per l’intero Regno di Napoli. La popolazione subì continue vessazioni dei governatori spagnoli e venne dimezzata dalla carestia di metà secolo.  Il 1700 è ricordato per alcuni avvenimenti di grande importanza: la consacrazione della chiesa parrocchiale avvenuta il 30 ottobre del 1726 per opera del vescovo di Trivento monsignor Alfonso Mariconda, e la determinazione dei confini tra Montefalcone e Roccavivara nella piana di Canneto avvenuta il 14 marzo 1701. Nel 1810 con decreto del re Gioacchino Murat furono abolite le rendite feudali e quindi scomparve il feudo di Roccavivara. Nei decenni successivi la vita di Roccavivara fu influenzata dalle vicissitudini politiche del Regno delle Due Sicilie.
 
Cosa vedere:
 
Santa Maria del Canneto, badia benedettina che sorge sulla riva destra del fiume Trigno, nello stesso luogo dove nell'epoca romana un millennio prima, era fiorente una grande villa rustica. Il sito fu abitato sino dal XV secolo in maniera ininterrotta. Con la presenza dei monaci benedettini di San Vincenzo al Volturno ai quali il Duca Longobardo di Benevento Gisulfo I donò la chiesa sul calare del VII secolo, il sito ormai in decadenza (anche per incendi e calamità naturali), riprese nuova vita, fino a diventare il centro religioso più importante della valle del Trigno. Per circa 800 anni i benedettini rimasero sul posto, fino al 1484. La chiesa, dunque, ha origini molto antiche; conobbe numerose fasi che la videro progressivamente ampliata, fino ad assumere l'aspetto odierno. Fu l'abate Rainaldo, rettore dell'abbazia volturnense tra il 1137 e il 1166, ad edificare l'edificio nell'aspetto in cui la vediamo oggi, riutilizzando muratura, conci, blocchi lavorati, cornici, iscrizioni, sia della villa e dei monumenti funerari dell'insediamento romano, sia dei precedenti edifici. Uno di questi blocchi si trova attualmente impiegato come paliotto dell'altare maggiore; il paliotto d'altare, elemento superstite della chiesa primitiva, presenta caratteri bizantini sia nella disposizione ritmica sia nella frontalità delle figure, che raffigurano l'Ultima Cena, scolpita a basso rilievo. Il portale, molto semplice, presenta una lunetta con l'agnello crucifero ed un leone alato in una cornice di tralci e grappoli. Le tre navate interne, terminanti con le rispettive absidi, sono segnate da un sistema misto di pilastri e colonne, con capitelli ornati con motivi vegetali. Sull'altare maggiore è collocata la statua in legno policromo della Vergine con Bambino, opera del XIV secolo. Lateralmente all'altare vi sono due dipinti raffiguranti Santa Caterina d'Alessandria e Santa Anastasia. Il reimpiego di materiale di epoca romana ha permesso la realizzazione dei due altari laterali. L'opera più importante è il pulpito, collocato attualmente sul lato sinistro della navata centrale, purtroppo né la posizione, né la struttura compositiva e ornamentale sono quelle originarie. Datato con iscrizione al 1223, esso si sviluppa su quattro colonne; il parapetto è scandito in sette nicchie che ospitano, quasi a tutto tondo, sei monaci effigiati in atteggiamenti di lavoro e di preghiera, secondo la regola benedettina; al centro è una colonnina che sorregge l'aquila. La parte più antica della chiesa è l'abside centrale, costruita con pietre grezze; la base presenta blocchi con pezzi di trabeazioni e basamenti di edifici romani. Sul lato destro della chiesa si erige la torre campanaria, a pianta quadrata, che si innalza per ben 24 metri; un'epigrafe nella parte alta della torre ricorda l'anno di costruzione, 1329, e il suo committente l'abate Nicola. La torre presenta in alto merli e anche due piani di bifore; vi sono inoltre murati due leoni tardomedievali e tre lapidi funerarie di epoca romana.
 
La Villa Rustica di Canneto sul Trigno situata sulla sponda destra del fiume Trigno, a pochi metri dalla riva, è stata esplorata per buona parte del settore artigianale (pars rustica) destinato alla lavorazione del vino (e/o dell'olio) e per piccola parte del settore abitato o frequentato dal proprietario (pars urbana). Nel primo si articolano il torcularium, cioè l'ambiente dove avveniva la spremitura, che presenta un pavimento in mattoncini disposti a spina di pesce (opus spicatum) nel quale è la superficie di spremitura (ara) con canale circolare sfociante in una canaletta rettilinea che, dopo aver attraversato il muro dall'ambiente, immetteva nella vasca di decantazione e/o di fermentazione (lacus); i magazzini della villa (cella) si trovano in un ambiente lungo e stretto nel quale, al di sotto dell'originario livello pavimentale, sono distribuite due file di botti di terracotta (dolia). Altre botti erano distribuite in altri ambienti. Della parte padronale sono visibili tre ambienti pavimentati in mosaico; uno di essi, policromo, presenta una decorazione geometrico-floreale (riquadri, esagoni) con inserzioni figurate (colombi su rami); un altro mosaico è articolato in riquadri con motivi floreali con il quadro centrale raffigurante un animale. Tra le ville rustiche romane note nel Molise quella di Canneto, pur nella parzialità degli scavi eseguiti, è la più leggibile nelle articolazioni degli ambienti e negli elementi compositivi. Di particolare interesse si rilevano i magazzini con la sequenza delle botti. Sulla base delle loro dimensioni e sul numero originario di essi è possibile ipotizzare la quantità di liquido in essa contenuto, sia pure in modo approssimativo. Le botti hanno una capacità standard di due cullei corrispondenti a circa 1000 litri ciascuno; nella cella e negli ambienti ad essa adiacenti dovevano esistere circa 100 contenitori per una capacità di circa 100.000 litri di liquido. Delle attività svolte nella villa è documentata anche la produzione di oggetti in terracotta, per la presenza della relativa fornace, e quella della macinazione di cereali. La villa era munita di terme, poi obliterate dalla costruzione della chiesa romanica.
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